Plastica nel mare: un’emergenza globale

Plastica nel mare: un’emergenza globale

Ogni anno, circa il 93% degli oltre 300 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica prodotti nel mondo, finisce nelle discariche e negli oceani. 

Consideriamo una massa enorme di rifiuti che lentamente si decompongono, diventando sempre più piccoli e tossici e generando le famigerate “microplastiche”. Quest’ultime sono state trovate perfino nel plankton, che non soltanto costituisce la base della catena alimentare oceanica, ma provvede al più importante meccanismo per assorbire carbonio nell’atmosfera. 

La contaminazione plastica nell’oceano Atlantico, Pacifico, Indiano e nel Mar Cinese sta inevitabilmente condizionando la capacità degli oceani di assorbire CO2, e pertanto le conseguenze climatiche saranno disastrose per l’umanità. 

Dagli inizi del 2000, i rifiuti di plastica prodotti in un decennio sono cresciuti più che negli ultimi 40 anni. Attualmente, solo circa il 9% della plastica viene riciclata, il 12% circa incenerita, mentre il restante 79% viene disperso nell’ambiente, e spesso attraverso i fiumi, finisce nel mare.

Una busta di plastica nel mare (photo credits by Prisca Tozzi)

La proliferazione di “plastica monouso”

Meglio conosciuta come “usa-e-getta”, la monouso sta, in egual misura, accelerando il cambiamento climatico e contribuendo all’inquinamento dei nostri mari. Secondo i dati delle Nazioni Unite, un milione di bottiglie di plastica vengono acquistate ogni minuto, mentre oltre 5 trilioni di buste di plastica monouso vengono utilizzati annualmente.

Siamo ormai tragicamente dipendenti dalla plastica monouso, tanto da dimenticarci della plastica che utilizziamo e gettiamo via ogni giorno. Se non finiscono direttamente nel mare vicino a noi, tonnellate di rifiuti plastici vengono esportati in Paesi in via di sviluppo (es. Vietnam, Etiopia). 

Il mondo globalizzato spesso è senza regolamentazioni globali. Nel caso della plastica, questo si traduce in vere e proprie “montagne di rifiuti plastici” che arrivano in Paesi non sufficientemente regolaticon conseguenze devastanti per la salute e l’ambiente di chi ci vive. 

Rifiuti di plastica su una spiaggia

Come fermare questa epidemia di plastica?

Se questo riversamento devastante continua a questa velocità, i dati ci dicono che nel 2050 nei nostri oceani ci sarà più plastica che pesci. 

Di fronte al costante aumento della produzione e dei rifiuti di plastica, la Commissione Europea ha proposto nuove norme per i 10 prodotti che insieme rappresentano il 70% dei rifiuti marini in Europa. Queste norme, contenute nella “Direttiva sulla plastica monouso”, sono state approvate dal Parlamento Europeo il 27 Marzo 2019. Entro i prossimi due anni, ogni stato membro è obbligato a tradurre le indicazioni della Direttiva in nuove regolamentazioni nazionali, assegnando maggiori responsabilità ai produttori e istituendo nuovi obiettivi di riciclaggio. 

Le misure saranno applicate, entro il 2021, in tutti gli Stati dell’Unione Europea. Al bando c’è la commercializzazione di determinati prodotti di plastica: bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, mescolatori e contenitori per bevande, insieme a una riduzione del consumo di contenitori per alimenti e tazze in plastica per bevande. 

L’inquinamento da plastica è quindi un problema globale. Le Nazioni Unite hanno inserito la tutela dei mari tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: è il Goal 14 – Vita sott’acqua. Nell’Agenda 2030 si legge che occorre “conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile”.

Rifiuti di plastica sulle spiagge

La situazione nel Mediterraneo

Nel Mediterraneo la situazione non è affatto rosea. Il “Mare nostrum” è la sesta grande zona per inquinamento da plastica al mondo: anche qui la plastica rappresenta il 95% dei rifiuti nel Mediterraneo e proviene principalmente da Turchia, Spagna, Italia, Egitto e Francia. Nel complesso l’Europa, secondo maggiore produttore di plastica al mondo dopo la Cina, riversa in mare ogni anno tra le 150 e le 500 mila tonnellate di macroplastiche e tra le 70 e 130 mila tonnellate di microplastiche. Un inquinamento che colpisce soprattutto la fauna marina che ingerisce plastiche o microplastiche, confondendole con altri organismi commestibili. 

Sono innumerevoli, ad esempio, i ritrovamenti di tartarughe marine nel Mediterraneo intrappolate nella plastica o con plastica nello stomaco. La plastica che rimane a lungo nei mari si ricopre progressivamente di alghe e altri microorganismi con un odore simile a quello del cibo, traendo in inganno questa specie.

Una tartaruga marina

Come dimenticare, invece, il tragico ritrovamento, nella primavera del 2019, di un capodoglio femmina di otto metri, incinta e morta arenata su una spiaggia vicina a Porto Cervo, in Sardegna. Nello stomaco i ricercatori hanno trovato quasi 23 chili di rifiuti di plastica che riempiva più di due terzi del suo stomaco. 

Questa balena è solo una vittima di una lunga lista di mammiferi marini trovati morti con lo stomaco pieno di plastica. 

Rifiuti che fotografano la nostra civiltà malata di consumismo, lenta nel trovare soluzioni alternative e incurante dei danni che sta causando al Pianeta e quindi a se stessa.