Afghanistan: la crisi umanitaria aggraverà anche quella ambientale

Afghanistan: la crisi umanitaria aggraverà anche quella ambientale

Il dramma umanitario che si sta consumando in questi giorni in Afghanistan, e che molto probabilmente si aggraverà nei prossimi mesi con la definitiva presa del potere da parte dei talebani, porterà con sé una chiusura rispetto alla comunità internazionale e l’abbandono del piano per la tutela delle risorse naturali e del patrimonio di biodiversità del paese, avviato negli ultimi 15 anni.

Con le immagini drammatiche che arrivano da Kabul, nessuno in questo momento penserà immediatamente all’ambiente, alla sostenibilità e alle gravi tematiche sanitarie che renderanno ancora più difficile la vita nel paese.

La situazione ambientale

Qualcosa stava cambiando, lentamente, durante il governo precedente, guidato dal presidente Ashraf Ghani Ahmadzai. Una timida ma costante presa di coscienza delle urgenze ambientali, resa possibile grazie anche alla libera collaborazione tra istituti di ricerca, università e associazioni di cooperazione internazionale, che ha reso possibile la realizzazione di diversi studi tecnico-scientifici sulla valorizzazione della biodiversità locale e il rispetto della natura. Un’evoluzione culturale che adesso potrebbe arrestarsi di nuovo per decenni, mentre in tutto il mondo il coinvolgimento della collettività e dei governi sui temi ambientali andrà avanti lasciando l’Afghanistan ancora più indietro e ancora più in crisi.

Nel 2008, quasi contemporaneamente all’istituzione del primo parco nazionale, viene pubblicato dall’Unep anche un primo report approfondito del profilo di biodiversità nel paese, in collaborazione con l’Onu. Finalmente, nero su bianco, una lista delle specie a rischio e di una serie di misure da adottare nel post-conflitto, come l’istituzione di grandi di aree protette (oggi sono alcune decine), la creazione o l’ammodernamento di musei di storia naturale, l’identificazione di nuove specie e la catalogazione di tutte quelle presenti nei diversi e variegati habitat afghani, con particolare attenzione a quelle a rischio di estinzione.

Per le sue caratteristiche morfologiche, climatiche e paesaggistiche l’Afghanistan è infatti considerato la culla di tutta la biodiversità asiatica e area geografica per comprendere la storia dell’evoluzione della vita sulla Terra.

Le conseguenze della guerra

Depauperamento delle risorse naturali, povertà diffusa, carenza di cibo, inquinamento atmosferico, problemi di sicurezza alimentare, agricoltura intensiva per ottenere il massimo in breve tempo. E ancora, mancanza di competenze agrarie, di attrezzi e mezzi adeguati alla coltivazione, sono, secondo i ricercatori afghani, le ragioni di fondo di un disastro ecologico e di raccolti scarsi che prosegue da decenni, solo in parte ridotto grazie ai progetti di cooperazione internazionale.

Se ancora oggi circa 4 afghani su 5 vivono di agricoltura, una crisi alimentare è alle porte, nel caso in cui tutti i piccoli passi di questi ultimi anni venissero interrotti.

L’inquinamento atmosferico uccide più della guerra.

Ogni anno, a Kabul, circa tremila persone si ammalano e perdono la vita per colpa della pessima qualità dell’aria che respirano. Più o meno lo stesso numero di persone che muoiono ogni anno nel conflitto.

Testimoni locali parlano dell’impossibilità di restare sani senza indossare una maschera antismog, difficoltà a camminare per lunghi tratti, mancanza di energia. Una situazione drammatica che colpisce soprattutto i bambini alle vie respiratorie, causando una morte prematura.

Tra le cause dell’inquinamento atmosferico c’è prima di tutto la guerra che ha mosso milioni di persone dalle campagne alla città, rendendo Kabul una città sovrappopolata, dove è difficile garantire servizi sanitari e infrastrutture adeguate. Mancano spazi verdi nella capitale e il piano per destinare 10mila ettari di terra alla creazione di parchi e giardini, al momento è solo teoria.

L’inquinamento è generato anche dall’altro grande problema di Kabul: il traffico. Un parco macchine fatiscente per lo più alimentate con carburanti altamente inquinanti si riversa ogni giorno nelle vie della capitale. Il riscaldamento invernale è affidato a generatori elettrici alimentati a diesel (chi può permetterselo); ma per riscaldare le gelide notti invernali si brucia di tutto, carbone, stracci, plastica. Così le abitazioni, in gran parte baracche, si trasformano in pericolose camere a gas.

Foto EPA/HEDAYATULLAH AMID

Cosa potrebbe succedere

Con la caduta di Kabul, si potrebbe tornare indietro di 20 anni, in termini di salvaguardia ambientale e sanitaria. Potrebbero interrompersi tutte le timide misure prese dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente per il contenimento dell’inquinamento e rendere ancora più difficile la difficile la vita degli abitanti. Cosa ne sarà dei dispositivi per monitorare la qualità dell’aria e il livello delle polveri sottili? E della campagna di sensibilizzazione dei cittadini? La tutela dell’ambiente e della salute pubblica, in un paese dove la stessa vita è ogni giorno appesa a un filo, sembra una chimera.

L’instabilità politica, l’inquinamento e le conseguenze dei cambiamenti climatici possono essere dei fenomenali amplificatori degli effetti più pericolosi della guerra.

E il futuro di un Afghanistan chiuso al mondo, avrà certamente delle pesanti ripercussioni sulla qualità della vita della popolazione, già molto compromessa.


1 commento su “Afghanistan: la crisi umanitaria aggraverà anche quella ambientale”

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    Marino Marini il s! Rispondi

    buona giornata, interessante articolo, ma ho una domanda da fare tanto per capire, ma come mai c’è tanto inquinamento atmosferico laddove non esistono industrie e manca quasi totalmente l’energia elettrica. Da dove proviene e quali sono le cause del citato inquinamento atmosferico.
    Grazie per la cortese risposta
    Marino Marini

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